Viva l' Italia, una "Contrada" mafiosa..

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M@§§IMO
00venerdì 28 dicembre 2007 14:05
ragazzi leggete quà, c'è da rabbrividire..
Dal Sisde alla Mafia
venerdì, 28 dicembre 2007

La carriera de “u’ Dutturi”
Di Marco Travaglio

Sulle ragioni umanitarie di "eccezionale urgenza" che hanno indotto il ministro Mastella a istruire immediatamente la pratica per la grazia a Bruno Contrada, condannato definitivamente sette mesi fa a 10 anni per concorso esterno in as­sociazione mafiosa, bastano le considerazioni di Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo: "Il giudice di sorveglianza di Santa Maria Capua Ve­tere si è pronunciato il 12 dicembre contro il diffe­rimento della pena del Contrada poiché le patolo­gie dello stesso potrebbero essere curate in carcere o in apposite strutture esterne. Se peraltro tutti gli affetti di patologie come il diabete dovessero avanzare domanda di grazia e ottenerla in tempi cosi rapidi, il sovraffollamento delle carceri sareb­be rapidamente risolto.."



Se poi Contrada non avesse avviato lo sciopero della fame, ma avesse continuato a nutrirsi, le sue condi­zioni di salute sarebbero senz'altro migliori. Il detenuto malato dev'es­sere curato, nell'infermeria del carce­re o in ospedale, secondo le leggi vi­genti, non essendo la grazia una te­rapia anti-diabete. Quanto alle ra­gioni giuridiche di un'eventuale de­menza, sono ancor più deboli di quelle umanitarie. Mai è stato gra­ziato un personaggio di quel calibro condannato per mafia. E mai è sta­to graziato un condannato a distan­za così ravvicinata dalla sua con­danna (Contrada ha scontato 7 me­si dei 10 anni previsti). Si è molto di­scusso, a proposito di Adriano Sofri, se il candidato alla grazia debba almeno chiederla o possa riceverla d'ufficio, se debba accettare la sen­tenza o la possa rifiutare: ma, se an­che prevalesse la seconda tesi, sareb­be ben strano graziare un signore, stipendiato per una vita dallo Stato, che ha dipinto i suoi giudici come strumenti in mano alla mafia per condannare un nemico della ma­fia, giudici al servizio di un mani­polo di manigoldi, di criminali, di pendagli da forca che hanno inven­tato le cose più assurde mettendosi d'accordo. E tuttora chiede la revi­sione del processo. Graziarlo addirit­tura prima dell'eventuale revisione, significherebbe usare impropria­mente la clemenza per ribaltare il verdetto della Cassazione: un'inva­sione di campo del potere politico in quello giudiziario. Ultimo punto: sollecitata per un parere dal giudice di sorveglianza di Santa Maria Ca­pua Vetere, la Procura di Palermo ha risposto che Contrada non risul­ta aver mai interrotto i suoi rapporti con Cosa Nostra, ragion per cui si ri­tiene che potrebbe - una volta libero - riallacciarli.

Restano da esaminare le possibili ra­gioni Politiche di tanta fretta. Ra­gioni che risalgono alle sua lunga e controversa carriera di poliziotto e agente segreto alle dipendenze dello Stato, ma al servizio dell'Antistato.



Già capo della Mobile e della Criminalpol di Palermo, già numero tre del Sisde (alla guida del dipar­timento Criminalità organizzata) fino al Natale del 1992, quando fu arrestato, Contrada è indicato co­me trait d'union fra Stato e mafia non solo da una ventina di mafiosi pentiti, ma pure da una gran quanti­tà di autorevolissimi testimoni. A cominciare dai colleghi di Giovanni Falcone, che raccontano la diffidenza che il giudice nutriva nei confronti di "'u’ Dutturi": i giudici Del Pon­te, Caponnetto, Almerighi, Vito D'Ambrosio, Ayala. E poi Laura Cassarà, vedova di Ninni (uno dei colleghi di Contrada alla Questura di Palermo assassinati dalla mafia mentre lui colludeva con la mafia). Tutti a ripetere davanti ai giudici di Palermo che Contrada passava in­formazioni a Cosa Nostra, incon­trando anche personalmente alcuni boss, come Rosario Riccobono e Ca­logero Musso.



Nelle sentenze succe­dutesi in 15 anni, si legge che Con­trada concesse la patente ai boss Ste­fano Bontate e Giuseppe Greco; che agevolò la latitanza di Riina e la fu­ga di Salvatore Inzerillo e John Gambino; che intratteneva rapporti privilegiati con Michele e Salvatore Greco; che spifferava segreti d'indagine ai mafiosi in cambio di favori e regali (come i 10 milioni di lire ac­cantonati dal bilancio di Cosa No­stra, nel Natale del 1981, per acqui­stare un'auto a un'amante del su­perpoliziotto); che ha portato al pro­cesso falsi testimoni a sua difesa. Decisivo il caso di Oliviero Tognoli, l'imprenditore bresciano arrestato in Svizzera nel 1988 come riciclato­re della mafia. Secondo Carla Del Ponte, che lo interrogò a Lugano

in­sieme a Falcone,Tognoli ammise che a farlo fuggire dall'Italia era sta­to Contrada, anche se, terrorizzato da quel nome, rifiutò di metterlo a verbale. Poi, in un successivo interro­gatorio, ritrattò. Quattro mesi dopo, Cosa Nostra tentò di assassinare Falcone e la Del Ponte con la bom­ba all'Addaura. Nemmeno Borselli­no si fidava di Contrada. E nemme­no Boris Giuliano: finì anche lui morto ammazzato. Il che spiega, forse, lo sconcerto dei familiari delle vittime della mafia all'idea che lo Stato, dopo aver speso 15 anni per condannare Contrada, impieghi 7 mesi per liberarlo.



Ma c'e un ultimo capitolo, che sfugge alle sentenze: uno dei tanti tasselli che compongo­no il mosaico del "non detto", o del­l'indicibile sulla strage di via d'Amelio, dove morì Borsellino con gli uomini della sua scorta (ancora oggetto di indagini della Procura di Caltanissetta, che pure ha archiviato la posizione di Contrada). Quel pomeriggio del 19 luglio '92 Contra­da è in gita in barca al largo di Paler­mo con gli amici Gianni Valentino (un commerciante in contatto col boss Raffaele Ganci) e Lorenzo Nar­racci (funzionario del Sisde). Rac­conterà Contrada che, dopo pran­zo, Valentino riceve una telefonata della figlia “che lo avvertiva del fatto che a Palermo era scoppiata una bomba e comunque c'era stato un attentato. Subito dopo il Narracci, credo con il suo cellulare, ma non escludo che possa anche aver usato il mio, ha chiamato il centro Sisde di Palermo per informazioni più pre­cise. Appreso che la bomba è esplo­sa in via d'Amelio, dove abita la madre di Borsellino, Contrada si fa accompagnare a riva, passa da ca­sa e, in serata, giunge in via d'Ame­lio. Ma gli orari - ricostruiti dal con­sulente tecnico dei magistrati, Gio­acchino Genchi - non tornano. L'ora esatta della strage e stata fis­sata dall'Osservatorio geosismico alle 16, 58 minuti e 20 secondi. Alle 17 in punto, cioè 80 secondi dopo l'esplosione, Contrada chiama dal suo cellulare il centro Sisde di via Ro­ma. Ma, fra lo scoppio e la chiama­ta, c'è almeno un'altra telefonata: quella che ha avvertito Valentino dell'esplosione. Dunque, in 80 se­condi, accadono le seguenti cose: la bomba sventra via d'Amelio; un mi­sterioso informatore (Contrada dice la figlia dell'amico) afferra la cornet­ta di un telefono fisso (dunque non identificabile dai tabulati), forma il numero di Valentino e l'avverte del­l'accaduto. Valentino informa Con­trada egli altri sulla barca. Contra­da afferra a sua volta il cellulare, compone il numero del Sisde e ottie­ne la risposta dagli efficientissimi agenti presenti negli uffici solita­mente chiusi di domenica, ma tutti presenti proprio quella domenica. Tutto in un minuto e 20 secondi. Misteri su misteri.



Come poteva la figlia di Valentino sapere, a pochi secondi dal botto, che - parola di Contrada - c'era stato un attenta­to? Le prime volanti della polizia giunsero sul posto 10-15 minuti do­po lo scoppio. E come potevano, al centro operativo Sisde, sapere che era esplosa una bomba in via D'Amelio già un istante dopo lo scoppio? Le pri­me notizie confuse sull'attentato sono delle 17.30. Escludendo che la fi­glia di Valentino e gli uomini del Si­sde siano dei veggenti, e ricordando i rapporti del commerciante con i Ganci, il dubbio che l'informazione sia giunta da chi per motivi - dicia­mo così - professionali, ne sapeva molto di più. Qualcuno che magari si trovava appostato in via D'Ame­lio, o nelle vicinanze, in un ottimo punto di osservazione più distante (il Monte Pellegrino, dove sorge il castel­lo Utveggiom (sede di alcuni uffici del Sisde in contatto con un mafioso coinvolto nella strage). E attendeva buon esito dell'attentato per poi co­municarlo in tempo reale a chi di do­vere.



Prima di concedere la grazia a Contrada, si dovrebbe almeno pre­tendere che dica la verità su quel giorno. Altrimenti qualcuno potrebbe so­spettare - con i parenti delle vittime - che lo si voglia liberare per paura che dica la verità.



II processo

10 anni per concorso esterno alla mafia

E’ il 24 dicembre del 1992: Bruno Contrada viene arrestato. Viene accusato di essere un informatore di Cosa Nostra, di aver intrattenuto rapporti con i boss, di averne favorito la latitanza e la fuga. Nel '96 la condanna a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Fa appello e nel 2001 la Corte d'appello ribalta il verdetto: assolto, il fatto non sussiste. II procuratore generale a sua volta si rivolge in Cassazione, che annulla con rinvio. II nuovo processo d'appello conferma la sentenza del tribunale: 10 anni. II nuovo ricorso in Cassazione, stavolta della difesa, viene rigettato nel maggio di quest'anno.



!Zorro82!
00sabato 29 dicembre 2007 15:04
Non credo sia proprio pensabile poter dare la grazia ad un personaggio del genere. Troppe le sue responsabilità...
Non capisco perchè non possa essere curato in ospedale, come dovrebbe essere! Per dargli la possibilità di morire in pace a casa sua???
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