Enzo Conte : "Reportage Puertorico 2006"

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DjSabor
00lunedì 11 settembre 2006 15:05
Dalla newsletter di Enzo Conte :

Quest'estate sono ritornato a Puerto Rico con un gruppo di allievi. Di comune accordo abbiamo scelto di andare nell'isla del encanto in un periodo che non coincidesse con il Congresso Mondiale della Salsa. Volevo che quei ragazzi conoscessero la Puerto Rico di tutti i giorni, quella reale e non quella straordinaria (e anche un po' illusoria) dei giorni del Congresso.
Per fortuna la compagnia era quella giusta, perché i ragazzi che mi accompagnavano in questa avventura si erano portati dietro due cose molto importanti: una straripante quanto sana allegria, accompagnata da una grande curiosità intellettuale.
Insomma questi ragazzi non erano venuti a Puerto Rico alla ricerca di avventure erotiche, di spiagge da sogno o di fantomatiche ubriacature salsere. Volevano al contrario conoscere la vera anima di quell' isola, capire chi era quel popolo, come viveva e perché avesse scelto la salsa come colonna sonora della sua vita.

Molti europei vanno a Puerto Rico con l'illusione di trovare una Ibiza caraibica. Dimenticatelo!!! Non troverete mai Ibiza, così come non troverete la situazione italiana amplificata all'ennesima potenza, ne' tanto meno troverete la mitica SALSALANDIA.
Troverete al contrario un'isola che ti può deludere profondamente se non sarai capace di andare oltre gli stereotipi o le favole dei media. E' un'isola talvolta difficile da capire ma che ti può dare molto, che ti può insegnare molto, anche dal punto di vista umano, soprattutto perché è genuina nella sua unicità.
Così la descrivevo in un mio precedente articolo a lei dedicato:
"Non è la classica isola caraibica che teniamo custodita nel nostro immaginario collettivo, ma non è neppure quella colonia americana che qualcuno frettolosamente vorrebbe liquidare. E’ un’isola che ha molte anime, che bisognerebbe conoscere attentamente per riuscire ad apprezzarla nella sua complessità. Ma per capire il suo legame con la salsa non bisognerebbe frequentare i luoghi turistici, bisognerebbe addentrarsi al contrario nella “calle” portoricana. In quella strada, talvolta durissima, dove nasce il vero spirito “cocolo” (plebeo) di questa gente. Gente umile, proletaria che purtroppo (per noi) non si veste con sgargianti camicie a fiori, che non va in giro in bikini mozzafiato o gonnellini di banane e che spesso vive o frequenta posti dove un italiano molte volte non accetterebbe nemmeno di mettere piede. Se vuoi capire la vera anima salsera di questo popolo è però lì che devi andare. Devi ritrovarti in una delle loro tante feste patronali, impregnate dall’odore dei loro fritti preferiti (pinchos, alcapurrias, bacalao), fermarti in piazza a ballare con loro, accompagnato magari dalla voce di un Moncho Rivera (nipote prediletto dello scomparso idolo locale Ismael Rivera), insieme al quale il popolino ripete a memoria le parole di canzoni (per noi sconosciute) che qui hanno contraddistinto un’epoca. E tra quelle bancarelle, nella semplicità delle loro luminarie, nella spontaneità di quei sorrisi che devi cercare, come direbbe il compositore e poeta Tite Curet Alonso, “las caras lindas de mi gente negra” (i visi belli della mia gente negra), ovvero l’anima popolare di questa gente così diversa da noi".

Uno dei momenti più emozionanti della nostra vacanza è stato quando siamo stati a trovare la mamma di Papito Jala Jala. E' stato commovente vedere la sua felicità nello scoprire che un gruppo di italiani aveva attraversato l'oceano per rendere omaggio alla mamma di un uomo capace di lasciare un impronta così profonda nel mondo della salsa.
"Ragazzi, oggi mi avete dato una grande gioia! E' stato come se mio figlio fosse venuto improvvisamente a trovarmi..."
Così ha esclamato donna Lydia quando alla fine ci ha salutati.

Indimenticabili sono state poi le serate passate a casa di Janet Orta, preziosa collaboratrice e amica inseparabile del grande Papito. Indimenticabili non solo per le tante cose che ci ha insegnato, quanto per l'atmosfera calorosa che si respirava in quella casa. Una casa che sembrava un porto di mare, ravvivata dalla presenza dei suoi piccoli nipoti che andavano matti per il reggaetton, e da un via vai di personaggi incredibili che passavano incuriositi da quelle parti per vedere all'opera quegli italiani che manifestavano con tanta foga la loro voglia di capire che cosa ci fosse dietro quella musica che tanto aveva stregato i loro cuori.

Grazie a Janet abbiamo vissuto anche un'esperienza incredibile: una sera ci ha portati al concerto che il grande Cheo Feliciano ha tenuto nel parco comunale di Carolina (un comune dell'area metropolitana di San Juan). Proprio alla fine, mentre Cheo interpretava il suo cavallo di battaglia "Anacaona" , Janet ci ha invitati a salire sul palco e tutti insieme abbiamo ballato davanti a quel pubblico che ci incitava con passione, orgoglioso nel vedere come la loro musica, la loro cultura fosse così amata da persone che venivano da un paese così lontano.
(Papito e Cheo erano grandi amici e qui mi piace ricordare che durante la sua sepoltura, Cheo gli ha dedicato, a cappella, uno dei suoi classici "Los entierros de mi gente pobre")

Bellissime sono state poi le serate passate nei locali portoricani. Locali che molto poco hanno a che vedere con le nostre megadiscoteche ma nei quali si respira un'atmosfera davvero indescrivibile (che, vista con occhi diversi, è doveroso dirlo, potrebbe al contrario assai deludere).
Sto parlando di piccoli ritrovi come il Criollo, Taiguey, Shot, Pool Palace, Palo Once, Bubu,s, El balcon del Zumbador, l'Oyster bar. Locali caratterizzati non tanto per la qualità dei ballerini (sicuramente deludente se si è alla ricerca di fenomeni) quanto per l'apprezzatissima presenza i della "musica dal vivo". Una musica meravigliosa, che ti metteva le ali ai piedi. Salsa, salsa, salsa e ancora salsa (intermezzata solo da qualche chachacha)! Salsa di quella buona, di quella d'annata, di quella gorda, di quella che non ti stancheresti mai di ballare. Insomma: "FINALMENTE SALSA!!!"
Quella salsa che troppe volte quando siamo in Italia non abbiamo più la possibilità ne' di ascoltare, né di ballare, per questa nostra smania di andare a tutti i costi incontro ad una evoluzione che troppe volte ci porta su sentieri che poco hanno a che fare con la nostra vera passione (ma è un argomento sicuramente che torneremo ad affrontare in futuro).
E anche la musica registrata non era da meno, con i deey che non si sognavano affatto né di skretchare, né di mixare, tanto meno di proporre discutibili esperimenti che pretendono di contaminare la salsa col reggaetton (genere che, come sospettavo, a Puerto Rico non ha attecchito affatto, nonostante i diversi tentativi perpetuati dai cantanti locali).

Alla fine di questo viaggio, la soddisfazione più grande è stata vedere come quei ragazzi avessero saputo recepire al meglio lo spirito di quella vacanza. Sono ripartiti più carichi e motivati che mai. Consapevoli di non avere fatto uno spensierato viaggio turistico, quanto piuttosto "un viaggio alla radice".
Una esperienza, prima di tutto "umana", una esperienza indimenticabile che li ha aiutati a capire più a fondo l'incanto che si nasconde dietro questa magia da tutti noi conosciuta con l'intrigante nome di "salsa".
Enzo Conte
www.enzoconte.it

[Modificato da DjSabor 11/09/2006 15.05]

!Zorro82!
00martedì 12 settembre 2006 12:54
Quello che mi aspetterei da un viaggio a PuertoRico. Mi piace davvero il modo con cui lo racconta! Chissà se un giorno riuscirò mai a fare un viaggio simile...sarebbe un sogno!
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